Buon Natale da Stella Cometa – La Stazione

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(presepe di RFI nella Stazione di Napoli Centrale – lato biglietteria ITALO)

Tratto da “Il presepe della Napoli antica” di G. INFUSINO

 

Lo confesso, a me il presepe1 piace. Io appartengo più alla tradizione dei Lucarielli di eduardiana memoria che a quella degli alberisti di tradizione americana prima, giapponese poi, che con tecnologie sempre più avanzate, effetti di luce stroboscopica e addobbi da astronave, costruiscono piramidi scintillanti ricolme di ridondante elettronica.

Senza esagerare potremmo dire che il presepe sta all’anima, come l’albero natalizio sta a Taiwan. Oggi gli abeti  moderni parlano, cantano, suonano, lampeggiano, si muovono, brilluccicano di effetti luminosi e sonori regolabili e  cadenzabili.

Il presepe, invece, per lo più muto e immobile, animato,  al massimo, da un piccolo scroscio d’acqua e da qualche  luce che rievoca lo sfavillare di una fiamma, sfida i secoli  con la sua tradizione millenaria.

Certo, nelle nostre case moderne, rese sempre più piccole  e strette dai prezzi di acquisto e dalla mancanza di spazi di  edificazione, il presepe si condensa spesso in una piccola  grotta, nell’osteria, in una trentina di pastori e in qualche  decina di animali da cortile. Ma il fascino resta uguale.

In ridotti schemi prefabbricati o in pazienti lavori di artigianato quel microcosmo fatto di piccole statuine, sughero e  muschio essiccato, rinnova l’anima spirituale della festa più  che quella consumista.

L’albero è infatti il posto dove riporre i regali in vista della  grande abbuffata natalizia: rassicurante con il suo scintillio  e le sue forme vitree, sembra ricordare a gran voce che il  Natale è divertimento, allegria, scambio di doni e grandi  tavolate.

Il presepe, invece, più silenzioso nella sua penombra e nei suoi odori, sussurra altre cose: parla del Natale degli umili e dei diseredati, ricorda la speranza di un mondo migliore, invita alla riflessione. Non è una questione religiosa. Il presepe, come sanno generazioni e generazioni di presepisti, ha poco a che fare con la religione: è piuttosto un rito pagano, dove la narrazione religiosa è, per lo più, in secondo piano. Esso parla all’anima ed al cuore di ogni uomo; narra una vicenda che è universale per la sua semplicità.

La storia delle nostre tradizioni, infatti, ci insegna come il presepe cristiano sia in realtà la continuazione di usi e costumi già presenti in epoca pagana. Esso sembra appartenere più all’archetipo junghiano della rappresentazione figurativa che al sentire religioso. E’ più vicino alla pittura ed alla scultura. E’ un mezzo per esprimere la propria creatività, il proprio modo di interpretare il mondo. Ecco perché nel tempo si è arricchito di scenografie, simboli e personaggi che nulla o quasi hanno a che fare con l’iniziale matrice religiosa.

Forse il miracolo che il presepe rinnova ogni anno è proprio questo: il consentire a ciascuno di esprimere liberamente la propria anima e la propria sensibilità.

Ciascun presepe, infatti, anche il più piccolo e semplice, è unico e irripetibile. Nelle sue pieghe, oltre ai canoni della tradizione, è possibile scorgere l’anima stessa del suo ideatore.

E’ un messaggio più o meno conscio che un uomo costruisce per un altro uomo.

Quando sarete davanti a un presepe, dopo il primo sguardo di insieme, provate a fermarvi per qualche attimo. Scorretelo lentamente con gli occhi, isolatene i tanti dettagli, soffermatevi sui più piccoli elementi e poi, lasciate che tutti questi scivolino dentro di voi, fin dentro la vostra anima.

Quella che ascolterete sarà una storia unica che parla al cuore, ricordandovi che questo è il Natale…

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  1. Presepio o anche presepe. Il vocabolo deriva dal latino praesépium o  praesèpe, lett. mangiatoia, recinto chiuso. Il termine trae origine quindi  dalla mangiatoia in cui, secondo la tradizione, fu riposto Gesù al momento  della nascita.

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